PREMESSA
Per “finanziare” la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) da parte dell’INPS, l’art. 2, co. 31 ss., della Legge 28 giugno 2012, n. 92 (Riforma Fornero), prevede che, nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato, a carico del datore è posto un contributo di licenziamento (cd. ticket) la cui misura varia ogni anno, in relazione all’incremento del massimale mensile della NASpI.
Di seguito, vista la rilevanza dell’istituto (che non riguarda solo il licenziamento), ecco il punto su modalità di calcolo, ipotesi di risoluzione comportanti il pagamento, periodi utili e non, eccetera.
GENERALITÀ’ DEI DIPENDENTI A TEMPO INDETERMINATO
Ebbene, l’art. 2, co. 31, della Legge n. 92/2012, dispone che, nei casi di interruzione di un rapporto a tempo indeterminato per le causali che (indipendentemente dal requisito contributivo) darebbero diritto alla NASpI, intervenuti dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore, una somma pari al 41% del massimale mensile di ASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni. Tale contribuzione va sempre assolta in unica soluzione, non essendone prevista la rateizzazione[1].
Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al co. 30[2].
Nella tabella sono riportati tutti i valori di riferimento dal 2015, in poi, con l’indicazione della relativa circolare Inps di riferimento[3].
TICKET DI LICENZIAMENTO: VALORI DI RIFERIMENTO ANNUI
Anno | Circolare Inps | Retribuzione imponibile | Massimale |
2015 | 94/2015 | 1.195,00 | 1.300,00 |
2016 | 48/2016 | 1.195,00 | 1.300,00 |
2017 | 36/2017 | 1.195,00 | 1.300,00 |
2018 | 19/2018 | 1.208,15 | 1.314,30 |
2019 | 5/2019 | 1.221,44 | 1.328,76 |
2020 | 20/2020 | 1.227,55 | 1.335,40 |
2021 | 7/2021 | 1.227,55 | 1.335,40 |
2022 | 26/2022 | 1.250,87 | 1.360,77 |
2023 | 14/2023 | 1.352,19 | 1.470,99 |
2024 | 25/2024 | 1.425,21 | 1.550,42 |
- INPS, Circolare 22 marzo 2013, n. 44, par. 2.
- Il co. 30 dispone che il contributo addizionale ex co. 28 (1,4% sui contratti a termine più 0,5 per ogni rinnovo) è restituito al datore in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La restituzione avviene anche se il datore assume il lavoratore a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla fine del precedente contratto a termine: in tal caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto a termine. Per le indicazioni operative cfr. INPS, Messaggio 27 giugno 2013, n. 10358.
- Per completezza si veda anche quanto precisato dall’INPS nella Circolare 17 settembre 2021, n. 137.
CALCOLO DEL CONTRIBUTO DOVUTO DAL DATORE
A carico del datore è dovuta una somma pari al 41% del massimale mensile di NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni.
Come precisato dall’INPS, per calcolare l’importo dovuto, occorre prima determinare l’anzianità lavorativa del lavoratore cessato: infatti, il contributo si calcola in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, maturati dal lavoratore nel limite di 36.
Per periodi inferiori all’anno il contributo si determina in proporzione ai mesi di durata del rapporto[4].
COME SI CALCOLA IL CONTRIBUTO
Anzianità aziendale alla cessazione | Contributo dovuto nell’anno di cessazione |
6 mesi | 6/12 del 41% del massimale di NASpI |
12 mesi | 41% del massimale di NASpI |
28 mesi | 41% del massimale di NASpI x 2 + 4/12 |
A proposito di quanto appena sopra, è indispensabile richiamare la Circolare INPS 17 settembre 2021, n. 137. In tale documento, al par. 4, l’Istituto ha precisato quanto segue:
- dai controlli effettuati dall’Istituto, è emerso che il calcolo del cd. ticket di licenziamento, nel corso degli anni, non è sempre avvenuto conformemente all’art. 2, co. 31, della Legge n. 92/2012 e alle ulteriori disposizioni vigenti, non essendo stata correttamente valorizzata la base di calcolo del contributo, pari all’importo del massimale annuo di AspI/NASpI;
- ciò ha comportato che alcune aziende hanno versato importi maggiori di quelli dovuti nei casi di interruzioni di rapporto di lavoro avvenute durante la vigenza dell’ASpI; invece, per le interruzioni dei rapporti avvenute a decorrere dal 1° maggio 2015 (data di istituzione della NASpI), il contributo versato dalle aziende risulta in taluni casi di importo inferiore a quello dovuto[5].
In pratica, il valore da prendere a riferimento è sempre (e solo) il massimale di NASpI e non la retribuzione imponibile, entrambi come individuati ogni anno da parte dell’INPS.
NB | Quindi, in pratica, l’onere a carico del datore di lavoro è così determinato: | |
O | anno 2023: il valore “base” di partenza è pari al massimale della NASpI, ossia 1.470,99 | |
euro; il 41%, ossia la somma dovuta se il rapporto è durato esattamente 12 mesi, è pari a | ||
603,11 euro; per 1 solo mese di rapporto, l’importo è pari a 50,26 euro; per rapporti durati | ||
36 mesi o più, l’importo da versare si ricava moltiplicando 603,11 per 3, con un totale | ||
complessivo pari a 1.809,33 euro[6]; | ||
O | anno 2024: il valore “base” di partenza è pari al massimale della NASpI, ossia 1.550,42 | |
euro; il 41%, ossia la somma dovuta se il rapporto è durato esattamente 12 mesi, è pari a | ||
635,67 euro; per 1 solo mese di rapporto, l’importo è pari a 52,97 euro; per rapporti durati |
36 mesi o più, l’importo da versare si ricava moltiplicando 635,67 per 3, con un totale complessivo pari a 1.907,01 euro[7].
TIPOLOGIE DI CESSAZIONE CHE COMPORTANO IL PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO Premesso che il contributo è dovuto nei soli casi della fine di un rapporto a tempo indeterminato,
- INPS, Circolare 17 settembre 2021, n. 137, par. 2.
- Nella circolare, l’INPS aveva informato che, con apposito successivo messaggio (non ancora emanato), sarebbero state fornite le indicazioni operative per regolarizzare i periodi di paga scaduti.
- INPS, Circolare 3 febbraio 2023, n. 14.
- INPS, Circolare 29 gennaio 2024, n. 25.
e che i datori vi sono tenuti in tutti i casi in cui tale cessazione generi in capo al lavoratore (che ha perso involontariamente la propria occupazione) il teorico diritto alla NASpI (a prescindere dalla sua effettiva fruizione), il versamento – a prescindere dal fatto che si tratti di “vecchi assunti” o di lavoratori che ricadono nell’ambito di applicazione del contratto a tutele crescenti (D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23) – è obbligatorio nelle seguenti ipotesi[8]:
- licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
- licenziamento disciplinare, ossia per: giusta causa o giustificato motivo soggettivo[9];
- licenziamento discriminatorio, orale e/o nullo;
- recesso del datore durante o al termine del periodo di prova[10];
- recesso del datore durante o al termine del periodo formativo dell’apprendista[11];
- dimissioni per giusta causa ex art. 2119 del codice civile;
- dimissioni (di fatto equiparate a quelle per giusta causa) nel periodo tutelato di maternità e paternità[12];
- dimissioni a seguito dell’avvenuto trasferimento d’azienda[13];
- interruzione del rapporto di lavoro per rifiuto del lavoratore del trasferimento ad altra sede della azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico[14], come pure nel caso di trasferimento ingiustificato, ossia non sorretto dalle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ex art. 2103 cod. civ.[15];
- risoluzione consensuale a seguito della riuscita del “Tentativo obbligatorio di conciliazione”, esperito ai sensi dell’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ove il datore intenda recedere per giustificato motivo oggettivo, in quanto – in tal caso – il lavoratore ha diritto alla NASpI[16];
- risoluzione consensuale del rapporto intervenuta nell’ambito della procedura relativa alla cd. offerta di conciliazione di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23[17];
- licenziamento del lavoratore intermittente, se assunto a tempo indeterminato;
- licenziamento collettivo, con le particolarità evidenziate a parte;
- licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto, ex art. 2110 cod. civ;
- ipotesi previste dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al DLgs n. 14/2019[18].
TIPOLOGIE DI CESSAZIONE ESCLUSE DAL PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO
Premesso che il contributo è dovuto nei soli casi della fine di un rapporto a tempo indeterminato, e che i datori vi sono tenuti in tutti i casi in cui tale cessazione generi in capo al lavoratore (che ha perso involontariamente la propria occupazione) il teorico diritto alla NASpI (a prescindere dalla sua effettiva fruizione), il versamento – a prescindere dal fatto che si tratti di “vecchi assunti” o di lavoratori che ricadono nell’ambito di applicazione del contratto a tutele crescenti (D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23) – è obbligatorio nelle seguenti ipotesi[8]:
- licenziamento per giustificato motivo oggettivo;
- licenziamento disciplinare, ossia per: giusta causa o giustificato motivo soggettivo[9];
- licenziamento discriminatorio, orale e/o nullo
- recesso del datore durante o al termine del periodo di prova[10];
- recesso del datore durante o al termine del periodo formativo dell’apprendista[11];
- dimissioni per giusta causa ex art. 2119 del codice civile;
- dimissioni (di fatto equiparate a quelle per giusta causa) nel periodo tutelato di maternità e paternità[12];
- dimissioni a seguito dell’avvenuto trasferimento d’azienda[13];
- interruzione del rapporto di lavoro per rifiuto del lavoratore del trasferimento ad altra sede della azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi di trasporto pubblico[14], come pure nel caso di trasferimento ingiustificato, ossia non sorretto dalle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive ex art. 2103 cod. civ.[15];
- risoluzione consensuale a seguito della riuscita del “Tentativo obbligatorio di conciliazione”, esperito ai sensi dell’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ove il datore intenda recedere per giustificato motivo oggettivo, in quanto – in tal caso – il lavoratore ha diritto alla NASpI[16];
- risoluzione consensuale del rapporto intervenuta nell’ambito della procedura relativa alla cd. offerta di conciliazione di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23[17];
- licenziamento del lavoratore intermittente, se assunto a tempo indeterminato;
- licenziamento collettivo, con le particolarità evidenziate a parte;
- licenziamento per avvenuto superamento del periodo di comporto, ex art. 2110 cod. civ;
- ipotesi previste dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al DLgs n. 14/2019[18].
TIPOLOGIE DI CESSAZIONE ESCLUSE DAL PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO
In generale, anzitutto, il datore non è tenuto a versare il ticket se la risoluzione del rapporto (a tempo indeterminato) non è a lui addebitabile. Quindi, il contributo non è dovuto nelle seguenti ipotesi:
- dimissioni volontarie del lavoratore (ossia non per giusta causa, maternità/paternità);
- cessazioni di rapporto di lavoro intervenute in applicazione dell’articolo 4, co. da 1 a 7-ter, della Legge n. 92/2012: si tratta della cd. isopensione[19];
- cessazione del rapporto per esodo dei lavoratori anziani (art. 41, co. 5-bis, D.Lgs. n. 148/2015) concordata a seguito di accordi sindacali nell’ambito di procedure di cui agli articoli 4 e 24 della Legge n. 223/1991 (licenziamento collettivo), ovvero cessazioni nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il CCNL di categoria;
- interruzioni dei rapporti afferenti a processi di incentivazione all’esodo che comportino le prestazioni ex art. 26, co. 9, lettera b), D.Lgs. n. 148/2015 (intervento Fondi di solidarietà bilaterali);
- risoluzione consensuale del rapporto con datore avente meno di 15 dipendenti intervenuta nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 cod. proc. civ.[20];
- interruzioni dei contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore[21];
- interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato;
- licenziamento del lavoratore cd. “domestico”[22];
- interruzione del rapporto a causa del decesso del dipendente;
- cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 1406 del codice civile[23];
- trasferimento d’azienda, ove il dipendente passi al cessionario senza soluzione di continuità[24];
- revoca del licenziamento (in quanto il lavoratore non percepirà la NASpI)[25];
- pensionamento del lavoratore[26];
- passaggio diretto e immediato di personale che svolge funzioni centrali di supporto all’attività di distribuzione del gas[27];
- società sottoposte a procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria (artt. 43-bis e 44, D.L. n. 109/2018)[28];
- recesso dal contratto con i lavoratori subordinati sportivi[29].
CASI IN CUI IL CONTRIBUTO NON È’ DOVUTO “PER LEGGE”
Ricordando che il contributo è dovuto ove vi sia il teorico diritto alla NASpI, l’art. 2, co. 34, della Riforma Fornero dispone che il contributo ex co. 31 non è dovuto in questi casi:
- licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere[30].
Per ulteriori chiarimenti si veda anche quanto precisato dall’INPS nella Circolare 19 marzo 2020, n. 40.
Cfr. Ministero del Lavoro, Risposta a Interpello 24 aprile 2015, n. 13. Con la precisazione che il licenziamento disciplinare non può essere inteso tout court quale forma di “disoccupazione volontaria”, perché la misura sanzionatoria adottata con il licenziamento non risulta automatica; infatti, l’adozione del provvedimento disciplinare
- sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio del suo potere discrezionale. Cfr. INPS, Messaggio 27 giugno 2013, n. 10358, par. 1.1.
Cfr. art. 42, co. 4, D.Lgs. n. 81/2015, con le specifiche indicazioni per il contratto cd. di primo livello.
Il periodo in questione è quello che va da 300 giorni prima della data presunta del parto fino al compimento del 1° anno di vita del figlio o al 1° anno dall’adozione: INPS, Circolare 22 marzo 2013, n. 44, par. 1.
L’art. 2112, co. 4, 2° periodo, cod. civ., dispone che il dipendente, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le dimissioni con gli effetti ex art. 2119, co. 1.
INPS, Messaggio 26 gennaio 2018, n. 369.
In relazione a tali ipotesi si vedano: INPS, Circolare 29 luglio 2015, n. 142, par. 7; INPS, Messaggio 27 giugno 2013, n. 10358, par. 1.1; INPS, circ. 10 ottobre 2006, n. 108; INPS, Circolare 20 ottobre 2003, n. 163.
Tale ipotesi riguarda unicamente i datori cd. di maggiori dimensioni e i lavoratori non soggetti alle tutele crescenti.
Come precisato dal Ministero del Lavoro (Nota 24 aprile 2015, n. 13), l’accettazione dell’offerta economica (per evitare il giudizio, nel caso dei soli lavoratori “a tutele crescenti”) non muta il titolo della risoluzione del rapporto, che resta il licenziamento, e comporta solo la rinuncia alla sua impugnazione. Quindi, tale fattispecie è un’ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento del datore, con conseguente spettanza della NASpI.[
Al riguardo si rinvia alle indicazioni che sono state fornite dall’INPS con la Circolare 17 maggio 2023, n. 46.
Legge n. 92/2012: si tratta della cd. isopensione[19];
- cessazione del rapporto per esodo dei lavoratori anziani (art. 41, co. 5-bis, D.Lgs. n. 148/2015) concordata a seguito di accordi sindacali nell’ambito di procedure di cui agli articoli 4 e 24 della Legge n. 223/1991 (licenziamento collettivo), ovvero cessazioni nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente conclusi con accordo firmato da associazione sindacale stipulante il CCNL di categoria;
- interruzioni dei rapporti afferenti a processi di incentivazione all’esodo che comportino le prestazioni ex art. 26, co. 9, lettera b), D.Lgs. n. 148/2015 (intervento Fondi di solidarietà bilaterali);
- risoluzione consensuale del rapporto con datore avente meno di 15 dipendenti intervenuta nell’ambito del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 cod. proc. civ.[20];
- interruzioni dei contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore[21];
- interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato del dipendente già pensionato;
- licenziamento del lavoratore cd. “domestico”[22];
- interruzione del rapporto a causa del decesso del dipendente;
- cessione del contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 1406 del codice civile[23];
- trasferimento d’azienda, ove il dipendente passi al cessionario senza soluzione di continuità[24];
- revoca del licenziamento (in quanto il lavoratore non percepirà la NASpI)[25];
- pensionamento del lavoratore[26];
- passaggio diretto e immediato di personale che svolge funzioni centrali di supporto all’attività di distribuzione del gas[27];
- società sottoposte a procedura fallimentare o in amministrazione straordinaria (artt. 43-bis e 44, D.L. n. 109/2018)[28];
- recesso dal contratto con i lavoratori subordinati sportivi[29].
CASI IN CUI IL CONTRIBUTO NON È’ DOVUTO “PER LEGGE”
Ricordando che il contributo è dovuto ove vi sia il teorico diritto alla NASpI, l’art. 2, co. 34, della
Riforma Fornero dispone che il contributo ex co. 31 non è dovuto in questi casi:
- licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori, in attuazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai CCNL stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- interruzione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere[30].
DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA
Può accadere che le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore, in quanto indotte da comportamenti altrui, idonei a integrare la condizione di improseguibilità del rapporto[31] . Ad avviso dell’INPS[32], si considerano “per giusta causa” quindi danno diritto alla NASpI perché vi è:
- uno stato di disoccupazione involontaria le dimissioni determinate da quanto indicato di seguito: O mancato pagamento della retribuzione;
- aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
- modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative;
- mobbing, a causa di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi;
- notevoli variazioni delle condizioni di lavoro per cessione ad altri dell’azienda;
- spostamento del lavoratore da una sede a un’altra, senza che sussistano le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” ex art. 2103 cod. civ. (Corte di Cassazione n. 1074/1999);
- comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore gerarchico nei confronti del dipendente.
Se il lavoratore dichiara che si è dimesso per giusta causa, deve corredare la domanda di NASpI con la documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex artt. 38 e 47 DPR n. 445/2000) da cui risulti la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento illecito del datore (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ., sentenze ecc. contro il datore, e ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l’esito della controversia giudiziale o extragiudiziale.
Ove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS procederà al recupero di quanto pagato a titolo di NASpI[33].
PERIODI DI LAVORO DA ESCLUDERE
Al netto di quanto già precisato nel caso di un precedente contratto subordinato a termine (con successiva trasformazione o riassunzione a tempo indeterminato, e restituzione della contribuzione addizionale), l’INPS ha precisato che non si considerano nell’anzianità aziendale:
- le ipotesi di sospensione per aspettativa non retribuita;
- i periodi di congedo straordinario ex art. 42, co. 5 del D.Lgs. 151/2001[34];
- i periodi non lavorati nel contratto cd. “a chiamata” e, comunque, quelli inferiori a 15 giorni.
CONTRATTI “ATIPICI”
Di seguito, in tabella, le particolarità per apprendistato, lavoro intermittente e a tempo parziale.
Ex art. 2, co. 32, Legge n. 92/2012, il contributo è dovuto anche per le | ||
interruzioni dei rapporti di apprendistato diverse da dimissioni o recesso del | ||
lavoratore, incluso il recesso del datore ex art. 2, co. 1, lettera m), D.Lgs. n. | ||
167/2011[35]: tale norma è stata abrogata e oggi vige l’art. 42, co. 4, D.Lgs. n. | ||
Apprendistato | 81/2015, secondo cui – al termine del periodo di apprendistato – le parti possono | |
recedere dal contratto, ex art. 2118 c.c., con preavviso decorrente dal medesimo | ||
termine. Inoltre: nel periodo di preavviso continua ad applicarsi la disciplina | ||
dell’apprendistato; se nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come | ||
ordinario rapporto subordinato a tempo indeterminato. | ||
Il contributo non è dovuto nei casi di cessazione dell’apprendistato di I livello. |
Quanto al lavoro “a chiamata”, solo ove svolto a tempo indeterminato, in base alle indicazioni INPS[36], vale quanto segue:
– si considera mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si è protratta
Intermittente per almeno 15 giorni di calendario;
– i periodi non lavorati – a prescindere dal fatto che sia stata erogata o meno l’indennità di disponibilità – non concorrono al computo dell’anzianità aziendale (quindi sono esclusi dal computo per il calcolo del cd. ticket di licenziamento).
Circa tale tipologia contrattuale, pare presente una stortura. Infatti, per l’INPS[37], | |
Part time | l’importo del contributo è scollegato dall’importo della prestazione individuale; |
quindi, esso è dovuto in misura intera, a prescindere dal tipo di rapporto lavoro | |
(full time o part time). Ciò comporta che anche una prestazione assai ridotta | |
(es.: 4 ore al giorno) darà luogo al pagamento del cd. ticket in misura intera. |
LICENZIAMENTO COLLETTIVO
Fermo restando il riferimento al 41% del massimale mensile di ASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, nel caso di licenziamento collettivo, le cose si fanno un po’ più complicate e costose, dato che entrano in gioco due diversi fattori che riguardano quanto segue:
- la dichiarazione di eccedenza del personale ha formato o meno oggetto di accordo sindacale oppure no?[38]?
- il datore è tenuto (o no) a versare i contributi per finanziare l’integrazione salariale straordinaria?
Con riguardo all’ipotesi sub a), l’art. 2, co. 35, della Legge n. 91/2012 dispone che – dal 1° gennaio 2017 – nei casi di licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale ai sensi dell’articolo 4, co. 9, della Legge 23 luglio 1991, n. 223, non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il contributo di cui al co. 31 deve essere moltiplicato per 3 volte.
Invece, quanto alla lettera b), l’art. 1, co. 137, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di Bilancio 2018), dispone che – dal 1° gennaio 2018 – per ogni licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore che è tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria, ex art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, l’aliquota percentuale di cui all’art. 2, co. 31, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, è innalzata all’82%[39]. Quindi, in pratica, come precisato dall’INPS, dal combinato disposto delle due norme citate (art. 2, co. 35, Legge n. 92/2012, e art. 1, co. 137, Legge n. 205/2017) consegue che per ogni interruzione di un rapporto a tempo indeterminato, dal 1° gennaio 2018, nell’ambito di un licenziamento collettivo:
- in cui la dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale;
- da parte del datore tenuto alla contribuzione per finanziare l’integrazione salariale straordinaria; il cd. ticket di licenziamento, pari all’82% del massimale mensile, è moltiplicato per 3 volte[40].
In pratica, la situazione è quella contenuta nella tabella che segue.
LICENZIAMENTO COLLETTIVO: COSÌ IL CALCOLO DEL CONTRIBUTO DOVUTO
Azienda che non rientra nell’ambito di | 41% del massimale NASpI per ogni 12 mesi di |
applicazione della CIGS: con accordo: | anzianità aziendale negli ultimi 3 anni |
Azienda che non rientra nell’ambito di | 41% del massimale NASpI per ogni 12 mesi di |
applicazione della CIGS: senza accordo | anzianità aziendale negli ultimi 3 anni moltiplicato x 3 |
Azienda che rientra nell’ambito di | 82% del massimale NASpI per ogni 12 mesi |
applicazione della CIGS: con accordo | di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni |
Azienda che rientra nell’ambito di | 82% del massimale NASpI per ogni 12 mesi di |
applicazione della CIGS: senza accordo | anzianità aziendale negli ultimi 3 anni moltiplicato x 3 |
- l’obbligo va assolto entro e non oltre il termine di versamento della denuncia successiva a quella del mese in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro[41]
- stante la valenza “contributiva” di tali somme, il versamento soggiace all’ordinaria disciplina sanzionatoria prevista in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria a carico del datore;
- per l’esposizione sul flusso UniEmens, va valorizzato, nell’elemento “CausaleADebito”, di “AltreADebito”, di “DatiRetributivi”, il codice causale “M400”, significante “Contributo dovuto nei casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato ai sensi dell’articolo 2 comma 31 della legge 92/2012” e, nell’elemento “ImportoADebito”, l’importo da pagare.
Cordiali Saluti,
Studio Salardi
di Lorenza Salardi – Consulente del Lavoro