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STUDIO SALARDI DI LORENZA SALARDI

Studio di Consulenza del Lavoro

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Le nuove frontiere del welfare aziendale in virtù delle più recenti evoluzioni normative e di prassi.

Il Decreto legge 2 marzo 2024, n. 19:

In un contesto economico e produttivo in continua evoluzione, il welfare aziendale, i fringe benefit e i premi di risultato rappresentano leve strategiche di rilevante importanza per le imprese che intendono incentivare e fidelizzare i propri dipendenti, migliorando al contempo la produttività e il clima organizzativo. La normativa in materia di welfare aziendale, ampiamente ridefinita negli ultimi anni, offre oggi alle aziende diverse opportunità per implementare politiche di beneficio per i lavoratori, che vanno oltre la mera retribuzione economica, spaziando in ambiti quali salute, formazione, previdenza, sostegno alla famiglia e tempo libero.

Di rilevante importanza sono, altresì, i fringe benefit che costituiscono un valore aggiunto per il dipendente e si configurano come strumenti sempre più apprezzati e ricercati nel panorama lavorativo. Parimenti, la normativa che disciplina la detassazione dei premi di risultato rappresenta un meccanismo incentivante di particolare interesse, in quanto permette di remunerare i lavoratori sulla base dei risultati effettivamente conseguiti, con evidenti vantaggi sia per i datori di lavoro, sia per i dipendenti, grazie anche a significativi benefici fiscali.

In questo complesso scenario, l’interpretazione accurata delle diverse fattispecie normative e l’abilità nell’adeguare le disposizioni legislative alle peculiarità dell’ambiente aziendale, costituiscono requisiti indispensabili per massimizzare i benefici connessi a tali provvedimenti.

Il presente approfondimento intende esaminare le più recenti novità normative e di prassi legate al welfare aziendale, ai fringe benefit e ai premi di risultato, fornendo uno strumento di analisi e di aggiornamento.

 

APPROFONDIMENTO

  1. WELFARE AZIENDALE

Il progressivo crescente interesse che ha assunto, in questi ultimi anni, il welfare aziendale

  • frutto della necessità, come evidenziano numerosi studi e analisi, di introdurre misure di supporto a favore dei lavoratori e delle lavoratrici volte a colmare le lacune del pubblico creando così valore per l’intera comunità.

Le novelle normative succedutesi dal 2016 in avanti trovano fondamento in quanto premesso e attuano il precetto costituzionale contenuto nell’art. 41 all’ultimo comma: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”. È evidente il richiamo dei padri costituenti a una responsabilità dell’impresa bilanciata tra il perseguimento dell’utile e il raggiungimento di un’elevata coesione sociale funzionale al benessere di tutti i soggetti coinvolti. Compito dello Stato diventa quindi quello di svolgere il decisivo ruolo di proporre iniziative, anche legislative, finalizzate a consentire ai datori di lavoro di porre in essere una serie di misure volte a migliorare la qualità di vita dei lavoratori traendo origine, tali interventi, proprio dal dettato costituzionale (artt. 2, 3, 38, 41, 117, 118 Cost.). Compito degli attori coinvolti nella sfera privata del welfare (nel nostro caso datori di lavoro e lavoratori) è quindi quello di ricercare varie forme di benefits, nell’accezione più ampia possibile del termine, che perseguano i seguenti obiettivi:

  • aumento del benessere individuale del dipendente e dei suoi familiari;
  • migliorare il clima aziendale e l’assetto organizzativo;
  • aumentare la produttività aziendale;
  • valorizzare il personale dipendente;
  • ottimizzare, anche sotto l’aspetto economico, le risorse disponibili;
  • generare positive relazioni industriali.

 

Visti i risultati attesi è quindi di evidenza come i costi sostenuti per i programmi di welfare aziendale non possano essere identificati solo come mera spesa, ma piuttosto come dei veri e propri investimenti, che condurranno, come si diceva, a un aumento della produttività e a un miglioramento del clima aziendale e delle relazioni sindacali.

I risultati positivi dei piani di welfare non devono però essere legati solo al valore economico dei benefits concessi, ma devono essere anche legati al modo in cui i piani vengono perseguiti. La realizzazione di un sistema condiviso e collaborativo che parte dall’analisi dei bisogni delle persone e dalle lacune assistenziali esistenti nel territorio, la capacità e semplicità comunicativa della modalità di gestione e di erogazione del sistema di welfare, la partecipazione dei dipendenti nei processi decisionali e nell’aggiornamento delle proposte dei benefits, la personalizzazione dei servizi offerti, sono solo alcuni degli indicatori dell’efficacia degli interventi. Interventi che potranno portare a una netta crescita della qualità del capitale umano in termini di motivazione, impegno, creatività, fidelizzazione, efficienza e talento.

 

APPROFONDIMENTO

 

1.1 Il paniere di welfare

Attualmente si semplifica moltissimo associando il welfare aziendale ai soli flexible benefits, ma è necessario non limitarsi a considerare queste misure esclusivamente sotto l’aspetto del risparmio contributivo e fiscale. Infatti il welfare aziendale deve essere considerato come un insieme strutturato di beni, servizi e prestazioni offerto dalle aziende per soddisfare i bisogni, anche in forma non monetaria, dei propri dipendenti e dei loro familiari e contribuire al loro benessere. Va da sé quindi che possono essere annoverati in tale ambito anche tutte le misure di conciliazione vita-lavoro (smart-working, orari di lavoro flessibile, part-time, sostegno alla genitorialità…) e quelle volte al miglioramento del clima lavorativo e del benessere psicofisico dei dipendenti. Intercettare i bisogni dei lavoratori, attraverso colloqui o interviste individuali, consentirà di offrire possibili interventi in risposta alle esigenze emergenti dei dipendenti.

Si possono così individuare, in linea generale, tre aree1:

  • area del tempo: misure che incidono sulla flessibilità del lavoro;
  • area della famiglia: servizi offerti ai dipendenti a supporto della gestione e cura dei familiari;
  • area del sé: interventi volti al benessere e alla salute dei lavoratori nonché interventi finalizzati anche alla crescita professionale e interventi di formazione continua.

Partendo dalla suddetta classificazione è possibile redigere la seguente tabella:

Area del tempo Area della famiglia Area del sé
     
orari friendly congedi parentali oltre gli attività e servizi per la promozione della
  obblighi legali salute e di stili di vita
     
part-time percorsi di reintegrazione al attività e servizi per la prevenzione di
  rientro dal congedo di rischi in materia sanitaria
  maternità e parentale  
     
smart-working servizi pre e post scolari, attività per il benessere psicologico e la
  centri estivi, borse di studio riduzione dei rischi psico-sanitari
     
introduzione banca ore baby sitting life counseling
     
servizi per time saving servizi per assistenza attività culturali, formative e per
  familiari non autosufficienti l’allargamento del network relazionale
     

 

  • Tiziano, “Welfare aziendale: migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti” Ed. Ipsoa (2013)

APPROFONDIMENTO

 

Una possibile classificazione, per i flexible benefits, potrebbe essere quella che rispecchia i contenuti dell’art. 51 TUIR evidenziando i limiti di non imponibilità e le modalità di erogazione:

Istruzione e Famiglia
educazione  
   
Assistenza   Previdenza   Beni   Cultura e tempo   Spese di
sanitaria   integrativa       libero   trasporto
integrativa               collettivo
                 
  scuola di Servizi per   pacchetti     versamenti   beni di attività culturali abbonamenti
  ogni ordine assistenza   sanitari     volontari e   qualsiasi (viaggi, a trasporto
  e grado, familiari   integrativi     integrativi   genere spettacoli, pubblico
  mensa anziani (>75         a fondi     corsi…), attività locale,
  scolastica, anni) o non         pensione     sportive, regionale e
  libri di testo, autosufficienti               assistenza interregionale
  centri estivi                 sociale e  
  e invernali                 sanitaria  
                       
  nessun nessun limite   Limite     Limite   Limite nessun limite di nessun limite
  limite di di spesa   3615,20 €     5164,57 €   1.000 € o spesa di spesa
  spesa              
                2.000 € in    
                     
                  caso di    
                  figli a    
                  carico    
                   
  Erogazione o rimborsi   versamenti aggiuntivi ai   voucher acquisto diretto acquisto
        fondi           dal fornitore e/o diretto o
                    voucher rimborsi
                       

 

Sfruttando le classificazioni sopra esposte si potrebbero altresì evidenziare le seguenti esperienze:

  • contributi aziendali per polizze assicurative, previdenza complementare, sanità integrativa, copertura per infortuni professionali ed extraprofessionali;
  • campagne di prevenzione medica e per la salute;
  • cure odontoiatriche;
  • wellness ed esercizio fisico;
  • attività per il benessere psicologico e la riduzione dei rischi psico-sanitari;
  • counseling, coaching, tutoring;
  • attività culturali, formative e per l’allargamento del network relazionale;
  • programmi di qualificazione e riqualificazione professionale;
  • programmi di riqualificazione per il rientro al lavoro dei genitori;

 

APPROFONDIMENTO

 

  • supporto al rientro dalla maternità;
  • congedi parentali oltre i limiti legali;
  • permessi aggiuntivi per motivi di studio;
  • telelavoro;
  • lavoro agile;
  • flessibilità di orario in entrata e uscita;
  • concessione di part time per favorire la conciliazione vita-lavoro;
  • banca delle ore;
  • job sharing;
  • applicazione dedicata (APP) per l’accesso alla fruizione di servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa-lavoro-casa2;
  • maggiordomo aziendale;
  • permessi (retribuiti o meno) per inserimento figli in asilo nido, scuole materne, decesso parente, adozioni, interventi chirurgici, ricoveri urgenti di familiari, o per esigenze particolari (es. esperienze di volontariato);
  • congedi volontari aggiuntivi;
  • cessione volontaria delle ferie;
  • dispositivi di time saving;
  • sostegno all’uso del trasporto pubblico da parte dei dipendenti;
  • offerta servizi (asili nido, baby-sitting, assistenza familiari anziani…);
  • contributi per educazione e istruzione dei figli (per acquisto libri scolastici, rette scolastiche, sostegno al pagamento della rata dell’asilo nido ecc.);
  • borse di studio per i figli;
  • buoni acquisto;
  • rimborso interessi mutui;
  • prestiti;
  • integrazione reddito in caso di CIG, contratti solidarietà, malattia, prolungata assenza per maternità facoltativa, in casi personali particolari (ovviamente le somme a integrazione saranno soggette integralmente a imposte e contributi in quanto “rappresentando un’erogazione in sostituzione di somme costituenti retribuzione fissa o variabile, rispondono a finalità retributive”3).
  • Agenzia delle Entrate interpello n. 74/2024
  • Agenzia delle Entrate interpello n. 57/2024

 

APPROFONDIMENTO

 

1.2 L’individuazione delle categorie

Nella fase di realizzazione di un piano di welfare aziendale, mediante un regolamento interno o un contratto collettivo o un accordo, occorrerà individuare, nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 52 comma 2 del TUIR, la platea dei destinatari a cui esso si rivolge. Come ribadito nella risoluzione 25 settembre 2020, n. 55/E4 occorre che i benefits siano messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti. Sul punto l’Amministrazione finanziaria è più volte intervenuta precisando che il legislatore, a prescindere dall’utilizzo dell’espressione “alla generalità dei dipendenti” ovvero a “categorie di dipendenti”, non riconosce l’applicazione delle disposizioni tassativamente elencate nel comma 2 del citato articolo 51 ogni qual volta le somme o i servizi ivi indicati siano rivolti ad personam, ovvero costituiscano dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori. La prassi dell’Agenzia delle Entrate ha ulteriormente chiarito che l’espressione “categorie di dipendenti” utilizzata dal legislatore non vada intesa soltanto con riferimento alle categorie previste dal Codice civile (dirigenti, operai, impiegati…), bensì ci si debba riferire a tutti i dipendenti di un certo “tipo” di un certo “livello” o “qualifica”5. Più nel dettaglio il Ministero dell’Economia e delle Finanze (ris. n. 188/E/1998) ritiene, ad esempio, che tutti gli operai del turno di notte possano costituire legittimamente “una categoria di dipendenti nel senso voluto dal legislatore poiché è sufficiente a impedire in senso teorico che siano concesse erogazioni ad personam in esenzione totale o parziale di imposta”. Ancora: la risoluzione n. 378/E/2007 indica che “i soggetti cosiddetti “expatriates” o “assignees” possano essere considerati una categoria di dipendenti ai quali viene assicurato (…) lo stesso trattamento indipendentemente dallo Stato di provenienza o di destinazione (…) sembra potersi ritenere sussistente un raggruppamento omogeneo di dipendenti in quanto, come affermato dall’istante, gli stessi sono: “assunti da una delle Società del Gruppo; trasferiti presso una Società del Gruppo avente sede in un Paese differente da quello dell’originaria assunzione; titolari di un nuovo contratto di assunzione con la Società avente le medesime caratteristiche in tutto il mondo; titolari delle medesime agevolazioni (rimborso delle spese sostenute per le scuole ecc.)”.

 

Ancora l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto6 di poter considerare una categoria di dipendenti l’insieme dei lavoratori ai quali è stato dedicato un percorso di occupabilità ovvero uno specifico percorso di formazione, apprendimento e aggiornamento professionale volto a migliorare la quantità e la qualità delle competenze, conoscenze e capacità, al fine di potenziare l’occupabilità futura dei lavoratori, sia in termini di percorso di carriera all’interno della società che in previsione di eventuali futuri diversi impieghi professionali. La risposta a interpello n. 273 del 2019 ammette come categoria omogenea un gruppo di lavoratori a “maggior rischio di non impiegabilità, nonché in situazione di

 

  • Per l’analisi completa della risoluzione n. 55/E del 25 settembre 2020 si veda anche l’approfondimento di Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 15 ottobre 2020;
  • Min.Fin. n. 326/E/1997;
  • Vedi circolare AdE n. 5/E/2018 e interpello AdE n. 273/2019;

 

maggior fragilità sociale” valutati su diversi fattori sia soggettivi che oggettivi (genere, età, cittadinanza, titolo di studio, stato di disoccupazione, localizzazione territoriale). Nel medesimo documento di prassi si evidenzia anche che “nel particolare contesto dei premi di risultato agevolabili” è configurabile “quale “categoria di dipendenti” l’insieme di lavoratori che, avendo convertito, in tutto o in parte, il premio di risultato in welfare, ricevono una “quantità” di welfare aggiuntivo rispetto al valore del premio.”

Con la risposta n. 10 del 25 gennaio 2019 i tecnici dell’Agenzia affermano che “nessun ostacolo alla non concorrenza al reddito di lavoro dipendente si rileva per la fruizione del check-up cardiaco da parte dei lavoratori “addetti alla sala” che, per quanto illustrato, configurano una “categoria di dipendenti””. E aggiungono: “Resta fermo che, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera f), del TUIR, il regime di non concorrenza al reddito di lavoro dipendente è da riconoscersi, inoltre, sia all’addetto alla sala titolare di un contratto di somministrazione a tempo determinato, sia allo stagista quale addetto alla sala titolare di un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera c), del TUIR”.

Le predette indicazioni di prassi, stratificatesi nel tempo, consentono un’applicazione delle norme agevolative individuate nel piano di welfare aziendale ogni qualvolta possa essere individuato un insieme ben distinto di dipendenti, o collaboratori, a cui concedere le opere e/o servizi e/o beni cui il datore di lavoro vuole riservare agli stessi.

Vi è però da rilevare, in senso difforme a quanto sin qui esposto, la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate nell’interpello n. 57/2024 in particolare quando ritiene che non sia ammissibile considerare come categoria quella delle lavoratrici madri. Nello specifico si è precisato che non sia “possibile individuare una categoria di dipendenti sulla base di una distinzione non legata alla prestazione lavorativa ma a caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente” e quindi la “circostanza che l’attribuzione del welfare aziendale in base allo status di maternità non appare idonea a individuare” un cluster definito di dipendenti necessario per beneficiare dell’esenzione dal reddito ai sensi dell’art. 51 comma 2 del TUIR. Tale recente e rigida interpretazione dell’Agenzia, come detto incoerente con la prassi sopra elencata, rischia di compromettere tutte le iniziative aziendali a supporto della genitorialità non potendo, stante anche la genericità dell’espressione “status di maternità”, perimetrare la categoria a cui rivolgere gli interventi. È palese infatti che se un’azienda decidesse di attivare un sostegno alle lavoratici madri, stante i contenuti dell’interpello n. 57/2024, non potrebbe beneficiare di alcun intervento agevolativo essendo riconducibile, quella situazione, a “caratteristiche o condizioni personali o familiari del dipendente” e “non legata alla prestazione lavorativa”. Una simile casistica (lavoratori fragili) era, come detto, già stata affrontata dall’Agenzia (risp. n. 273/2019) la quale però era giunta a conclusione ben diversa ammettendone la riconducibilità a categoria omogenea, a maggior ragione quindi non si comprende questo renvirment dell’Agenzia che rischia di vanificare gli interventi a favore della famiglia.

1.3 Welfare e sostenibilità ambientale

Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha palesato rinnovate tendenze di profondo cambiamento alle quali è correlata una rinnovata direzione volta alla tutela dell’ambiente, per la quale, peraltro, è stata approvata una riforma costituzionale in materia. La legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 ha infatti inserito nella Carta costituzionale un espresso riferimento alla tutela dell’ambiente recando modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione. In particolare, integrando l’articolo 9 della Costituzione, la disposizione in esame ha introdotto tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Inoltre, tale norma ha modificato l’articolo 41 della Costituzione, prevedendo che l’iniziativa economica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali. Pertanto, premettendo questi ulteriori due limiti a quelli già vigenti della sicurezza, della libertà e della dignità umana, il legislatore ha voluto elevare al rango costituzionale principi già previsti dalle norme ordinarie e affiancando altresì la salute all’ambiente per la stretta correlazione tra i due aspetti.

Nel contesto attuale, caratterizzato da una crescente consapevolezza riguardo le questioni ambientali e il bisogno impellente di adottare pratiche sostenibili, le aziende, dunque, si trovano a dover riconsiderare le proprie politiche interne non solo sotto il profilo economico e produttivo, ma anche in termini di responsabilità sociale.

In merito alle predette esigenze, si ritiene utile richiamare specifiche risposte a interpelli riferite al trattamento fiscale da adottare relativamente a un benefit consistente nel servizio di ricarica gratuita per auto nonché servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa-lavoro-casa.

Più nel dettaglio, con l’interpello n. 329/2022 la Società istante ha voluto promuovere una nuova iniziativa diretta a incentivare tra i dipendenti il ricorso alla mobilità elettrica anche nell’ambito privato. A tal fine, ha riconosciuto sei mesi di ricarica gratuita per i dipendenti che avrebbero acquistato auto elettriche entro un determinato periodo di tempo, utilizzando ove possibile l’energia elettrica prodotta dai propri impianti fotovoltaici o idroelettrici ovvero, in alternativa, laddove ciò non fosse stato praticabile, stipulando convenzioni con soggetti terzi fornitori delle ricariche, stabilendo ovviamente delle limitazioni (ad esempio, un numero massimo di ricariche effettuabili) al fine di evitare abusi. La suddetta iniziativa, offerta alla generalità dei dipendenti, sarebbe avvenuta attraverso la stipula di un accordo aziendale.

In virtù dello scenario descritto, l’Agenzia delle Entrate – nella piena consapevolezza che l’obiettivo di dare impulso a una compiuta transizione ecologica anche attraverso una mobilità sostenibile costituisca uno specifico obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – ha precisato che tale iniziativa andava a soddisfare il requisito della finalità educativa previsto dall’articolo 51, comma 2, lettera f), del TUIR secondo cui non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente “l’utilizzazione delle opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari indicati nell’articolo 12 per le finalità di cui al comma 1 dell’articolo 100 del TUIR (educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto)”. Tutto ciò premesso, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che il relativo benefit poteva beneficiare del regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente.

Inoltre, con la recente risposta a interpello n. 74/2024, la Società istante, seppur non avesse ancora predisposto il piano di welfare, ha fornito indicazioni di carattere generale con riferimento all’ipotesi di erogazione di servizi di mobilità sostenibile offerti tramite APP alla generalità dei dipendenti o, in ogni caso, a categorie omogenee di dipendenti. Al riguardo, secondo quanto rappresentato, i suddetti servizi saranno disponibili solo in favore di coloro che non abbiano già l’assegnazione in uso promiscuo di una autovettura a titolo di fringe benefit, i servizi relativi allo sharing e al monopattino elettrico per il tragitto casa-lavoro-casa saranno consentiti solo nei casi in cui la sede di lavoro sia in luoghi che consentano il riutilizzo del mezzo di trasporto da parte di altre persone, così da garantire l’effettiva condivisione dell’uso di tali mezzi in funzione della riduzione dei costi sociali del trasporto.

La medesima Società ha specificato che tale iniziativa, legata alla mobilità sostenibile, risponde anche all’esigenza prevista dal PNRR di ridurre le emissioni inquinanti, di migliorare la mobilità delle persone, di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse e atteggiamenti responsabili verso l’ambiente, nonché promuovere l’uso di mezzi di trasporto condivisi al fine di favorire anche la socializzazione tra i dipendenti.

Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i descritti servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa-lavoro-casa, ivi compreso l’utilizzo dell’APP, offerti nei termini dichiarati e nel rispetto della normativa e della prassi in materia, rispondendo alle finalità di ”utilità sociale” individuate dal comma 1 dell’articolo 100 del Tuir, possano rientrare nella previsione di cui all’articolo 51, comma 2, lettera f), del Tuir e che come tali possano beneficiare del regime di esclusione dal reddito di lavoro dipendente.

In conclusione, dunque, attraverso gli aspetti appena analizzati appare chiaro che le politiche di welfare si configurino come strumenti strategici attraverso cui le imprese possono promuovere una cultura aziendale basata sul rispetto dell’ambiente, sull’equità sociale e sulla valorizzazione delle risorse umane.

 

  1. PREMI DI RISULTATO

In un contesto teso a stimolare l’aumento della produttività all’interno dell’economia italiana, il legislatore si è impegnato attivamente, negli ultimi anni, nell’adozione di una serie di misure legislative mirate finalizzate a incentivare un maggiore coinvolgimento dei lavoratori attraverso la partecipazione ai risultati economici delle imprese in cui operano, nonché a favorire l’adozione di strutture organizzative più flessibili e dinamiche, capaci di potenziare la competitività sul mercato. In questo contesto, sono stati promulgati diversi provvedimenti legislativi con l’intento di stimolare le aziende ad adottare politiche lavorative che pongano al centro il benessere e la soddisfazione dei propri dipendenti. Tra le iniziative più significative in tale direzione si annoverano la Legge n. 208/2015, la Legge n. 232/2016 e, più recentemente, la Legge n. 213/2023, meglio nota come legge di Bilancio 2024.

2.1 Le previsioni della legge di Bilancio 2024 e individuazione dei soggetti interessati

L’articolo 1, comma 18, della legge di Bilancio 2024 ha disposto che “Per i premi e le somme erogati nell’anno 2024, l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui premi di produttività, di cui all’articolo 1, comma 182, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è ridotta al 5 per cento”.

A tal proposito, quindi, è necessario richiamare le disposizioni specificate all’articolo 1, comma 182, della Legge del 28 dicembre 2015, n. 208. Tale disciplina, infatti, prevede che, in assenza di una rinuncia scritta esplicita da parte del lavoratore, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata a incrementi in termini di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, quantificabili e verificabili secondo criteri stabiliti dal decreto interministeriale del 25 marzo 2016, emanato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, siano soggetti a una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali pari al 10% – ridotta al 5% per l’anno 2024 dalla Legge n. 213/2023 – fino a un massimo di 3.000 euro lordi.

Tale limite, peraltro, deve essere calcolato computando tutti i premi percepiti dal dipendente nell’anno, a prescindere dal fatto che siano erogati in base a contratti diversi o da vari datori di lavoro o che abbiano avuto differenti momenti di maturazione. Nel caso in cui il lavoratore non consenta al datore di lavoro di applicare la corretta aliquota fiscale, sarà onere del lavoratore stesso, in sede di dichiarazione dei redditi, far concorrere al proprio reddito complessivo i premi di risultato che siano stati assoggettati impropriamente a imposta sostitutiva, anche nella fattispecie in cui il premio sia stato erogato sotto forma di benefit detassato7.

  • Agenzia delle Entrate, Risoluzione 9 giugno 2017, n. 67.

Da ultimo, si precisa che possono fruire dell’aliquota agevolata i lavoratori che, nell’anno precedente a quello di percezione del premio, siano stati titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore a 80.000 euro annui8.

2.2 Distinzione tra strutturazione dei premi e condizione di incrementalità degli obiettivi

Nell’ambito della normativa in commento, emerge con preponderante significato l’aleatorietà degli importi assegnati ai lavoratori in forma di premi legati ai risultati, un aspetto che non deve, tuttavia, tradursi obbligatoriamente in un’erogazione progressiva correlata al conseguimento di obiettivi delineati dalla negoziazione collettiva in ambito territoriale o aziendale. Tali contratti devono, pertanto, individuare criteri di misurazione degli incrementi il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati.

Riguardo ai criteri incrementali ai quali devono essere legati i premi di risultato, il comma 2 dell’articolo 2 del citato decreto interministeriale del 25 marzo 2016 ne rinvia la definizione alla contrattazione collettiva aziendale o territoriale, stabilendo che la stessa debba “prevedere criteri di misurazione e verifica degli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, che possono consistere nell’aumento della produzione o in risparmi dei fattori produttivi ovvero nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, anche attraverso la riorganizzazione dell’orario di lavoro non straordinario o il ricorso al lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, rispetto a un periodo congruo definito dall’accordo, il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati”.

Tali contratti, pertanto, devono riconoscere criteri di misurazione degli incrementi il cui raggiungimento sia verificabile in modo obiettivo attraverso il riscontro di indicatori numerici o di altro genere appositamente individuati.

Sulle predette disposizioni sono stati forniti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate in numerosi documenti di prassi, tra i quali si ritiene utile richiamare le circolari n. 28/E del 15 giugno 2016 e 5/E del 29 marzo 2018, nonché la risoluzione n. 78/E del 19 ottobre 2018.

In particolare, la citata circolare n. 28/E del 2016 ha chiarito che è necessario tenere ben presente la distinzione tra strutturazione dei premi e condizione di incrementalità degli obiettivi che dà diritto al beneficio fiscale. La strutturazione dei premi è l’insieme delle condizioni previste negli accordi al verificarsi delle quali matura il diritto alla corresponsione di una data somma. La combinazione delle varie condizioni può avvenire in vari modi ed è regolata esclusivamente dalla contrattazione collettiva.

Per quanto riguarda l’applicazione dell’imposta sostitutiva, invece, il principio dell’incrementalità degli obiettivi societari assume una rilevanza fondamentale per

  1. Articolo 1, comma 186, Legge 28 dicembre 2015, n. 208;

l’adeguata esecuzione del dispositivo normativo in esame. Ai fini dell’applicazione del beneficio fiscale all’ammontare complessivo del premio di risultato erogato è necessario che, nell’arco di un periodo congruo definito nell’accordo, sia stato realizzato l’incremento di almeno uno degli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione richiamati dalla norma e che tale incremento possa essere verificato attraverso indicatori numerici definiti dalla stessa contrattazione collettiva. Si ricorda, peraltro, che l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5/E del 2018 ha chiarito che il risultato incrementale, ai fini dell’applicazione del beneficio fiscale, debba essere conseguito dall’azienda che eroga il premio e che lo stesso beneficio fiscale sia applicabile anche qualora sia realizzato l’incremento di uno solo degli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione individuati dal contratto, rispetto a un periodo congruo definito dalle parti9.

Sulla tematica in trattazione, peraltro, si evidenzia che l’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 59/E del 5 marzo 2024, ha risposto a un quesito in merito alla possibile applicazione della tassazione agevolata, prevista dall’articolo 1, comma 182, Legge n. 208/2015. Seppur la suddetta risoluzione rappresenti un parere dell’Amministrazione finanziaria in riferimento a una specifica fattispecie, dalla quale non scaturisce alcuna efficacia vincolante per la stessa – come ricordato, ad esempio dalla sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite il, 2 novembre 2007, n. 23031 – si riconosce la rilevanza di esaminare attentamente sia i contenuti principali che le eventuali criticità emergenti, al fine di approfondire i criteri interpretativi adottati e applicare concretamente le analisi normative precedentemente discusse.

Entrando più nel dettaglio del predetto documento di prassi, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti a una società sul regime fiscale da applicare alle somme erogate nel 2021 a titolo di premio di risultato ai propri dipendenti, a seguito di un accordo integrativo aziendale, per gli anni 2020-2023, stipulato con le proprie Rappresentanze sindacali (sia RSU che RSA) con il quale sono stati definiti gli “obiettivi collettivi di Azienda”, la composizione della parte funzionale/individuale e un obiettivo riguardante la fruizione delle ferie, individuato nel “consumo delle ferie maturate nell’anno di competenza e del 10% dei residui anni precedenti per tutti entro l’anno”.

Da un esame della documentazione allegata e dal riscontro alla richiesta di documentazione integrativa, tuttavia, è emerso che l’accordo integrativo, oltre a non indicare il ”Parametro ferie” sopra citato, subordina il riconoscimento del premio di risultato non al conseguimento di un risultato incrementale rispetto al risultato registrato

  • L’Agenzia delle Entrate con la risposta 59/2024 del 5 marzo 2024, ha ribadito che, ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva se, in conformità alle previsioni del contratto, l’erogazione del premio è subordinata al raggiungimento di diversi obiettivi, fra di essi alternativi, è sufficiente il raggiungimento incrementale di uno solo di questi misurato sulla base di appositi indicatori, indipendentemente dalla circostanza che, con riferimento alle modalità di determinazione del quantum, le parti abbiano concordato di graduarne l’erogazione in ragione del raggiungimento degli stessi o di diversi obiettivi. Laddove, al contrario, il contratto preveda espressamente il raggiungimento di diversi obiettivi non alternativi tra di loro, l’imposta sostitutiva troverà applicazione esclusivamente sulla parte di premio i cui relativi parametri/indicatori abbiano rispettato il requisito dell’incrementalità.

dall’azienda all’inizio del periodo di maturazione del premio per quel medesimo parametro, ma al raggiungimento di dati stabili, costituiti, tra l’altro, in parte da ”obiettivi collettivi aziendali” (per il 40 per cento) e in parte da ”obiettivi funzionali/individuali” (per il 60 per cento).

Inoltre, per gli stessi obiettivi è richiesto che siano raggiunte determinate percentuali stabilite nell’accordo, senza prevedere la verifica di un incremento degli stessi rispetto al risultato antecedente l’inizio del periodo di maturazione del premio. Sul punto, lo stesso Istante ha dichiarato, infatti, che gli obiettivi collettivi aziendali e gli obiettivi funzionali/individuali, in ragione del loro contenuto, non si prestano a una valutazione incrementale rispetto alla precedente annualità. Al contrario, il “Parametro ferie”, nonostante sia dotato di natura incrementale, non è direttamente correlato alla corresponsione del premio poiché il suo raggiungimento determinerebbe esclusivamente l’applicazione della detassazione.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate, in ragione di quanto appena illustrato, ha ritenuto che il premio di risultato in esame non possa fruire del regime agevolativo in quanto le condizioni sopra analizzate non sono state interamente soddisfatte.

  1. FRINGE BENEFIT

La Legge di Bilancio 2024, riproponendo parzialmente quanto previsto negli ultimi anni in materia di fringe benefit10, è intervenuta prevedendo un incremento della soglia di non imponibilità – prevista all’art. 51, comma 3, del TUIR – per il 2024, disponendo che i fringe benefit non concorreranno a formare reddito da lavoro dipendente fino a 2.000 per i lavoratori con figli a carico e fino a 1.000 per la generalità dei lavoratori dipendenti.

  • Per gli anni di imposta 2020 e 2021, il limite di 258,23 euro è stato elevato a euro 516,46 dall’articolo 112 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, successivamente modificato dall’articolo 6-quinquies, comma 1, del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 maggio 2021, n. 69. Inoltre, giova ricordare le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto-legge 9 agosto 2022, n. 115 (cd. decreto Aiuti-Bis), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022, n. 142, così come successivamente modificato dal decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176 (cd. Aiuti quater), secondo cui per il solo periodo d’imposta 2022, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati al lavoratore dipendente, nonché le somme erogate o rimborsate al medesimo dal datore di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, non concorrevano a formare il reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) nel limite complessivo di euro 3.000. Da ultimo, Il primo comma dell’articolo 40 del decreto legge n. 48/2023 convertito con modificazioni dalla Legge n. 85/2023, ha disposto che, limitatamente al periodo d’imposta 2023, non concorrevano a formare il reddito, entro il limite complessivo di euro 3.000, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del TUIR, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale.

3.1 Le novità della Legge di Bilancio 2024

L’articolo 1, comma 16, della Legge n. 213/2023 ha disposto che: “Limitatamente al periodo d’imposta 2024, in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Il limite di cui al primo periodo è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti”.

La norma in commento prevede, quindi, limitatamente al periodo d’imposta 2024, una disciplina più favorevole, rispetto a quella stabilita a regime, in materia di esclusione dal computo del reddito imponibile del lavoratore dipendente per i beni ceduti e i servizi prestati al lavoratore medesimo (cd. fringe benefit). Più nel dettaglio, il regime transitorio più favorevole consiste nell’innalzamento del limite di esenzione da 258,23 euro (per ciascun periodo d’imposta) a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli fiscalmente a carico e a 1.000 euro per gli altri lavoratori dipendenti. Si denota, altresì, l’inclusione nel regime di esenzione delle somme erogate o rimborsate al lavoratore dal datore di lavoro di specifiche fattispecie quali il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale e delle spese per il contratto di locazione della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa.

3.2 Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha fornito precise indicazioni sulla tematica con la circolare n. 5 del 7 marzo 2024, con particolare riguardo alla possibilità di agevolare le «spese per l’affitto della prima casa» o quelle «per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa».

In proposito, si evidenzia che la norma fa riferimento alla nozione di «prima casa» senza ulteriori precisazioni in merito alla relativa portata. A tal fine, secondo l’Agenzia, per ragioni logico-sistematiche, rileva la nozione di «abitazione principale» prevista per l’applicazione delle detrazioni di cui agli articoli 15, comma 1, lettera b) (interessi passivi per mutui), e 16 (canoni di locazione) del TUIR11.

  • In materia di detrazione per interessi passivi per mutuo ipotecario, ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera b), del TUIR, per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente. Fra i vari documenti di prassi in materia, con la circolare 19 giugno 2023, n. 14/E,

Con specifico riferimento alle anzidette spese, sempre la stessa Amministrazione finanziaria ha chiarito che le stesse debbano riguardare immobili a uso abitativo posseduti o detenuti, sulla base di un titolo idoneo, dal dipendente, dal coniuge o dai suoi familiari, nei quali il dipendente o i suoi familiari – di cui all’articolo 12 del TUIR – dimorino abitualmente, a condizione che ne sostengano effettivamente le relative spese. Pertanto, ancorché parte contrattuale sia il coniuge o altro familiare – fra quelli indicati nell’articolo 12 del TUIR – del lavoratore dipendente, sono rimborsabili, nei limiti normativi suindicati, sia le spese sostenute per un contratto di affitto sia quelle relative agli interessi sul mutuo, a condizione che l’immobile locato o su cui grava il mutuo costituisca l’abitazione principale del lavoratore ai sensi dei predetti articoli 15, comma 1, lettera b), o 16, comma 1-quinquies, del TUIR.

Con particolare riguardo alla locuzione «spese per l’affitto», inoltre, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che deve essere fatto riferimento al canone risultante dal contratto di locazione regolarmente registrato e pagato nell’anno.

Si sottolinea, altresì, che, per quanto riguarda le spese che vengono rimborsate in conformità alla disposizione normativa in esame, il contribuente si troverà nell’impossibilità di accedere alle facilitazioni fiscali correlate a tali spese. Esempi includono le detrazioni fiscali applicabili agli interessi passivi su mutui contratti per l’acquisto dell’abitazione principale o ai canoni di locazione. Questo perché, dato che tali spese sono state oggetto di rimborso, non vengono riconosciute come direttamente sostenute dal contribuente medesimo.

L’Amministrazione finanziaria, ha altresì chiarito che, ai fini documentali, è necessario che il datore di lavoro acquisisca e conservi 12 , per eventuali controlli, la relativa documentazione per giustificare la somma spesa e la sua inclusione nel limite di cui all’articolo 51, comma 3, del TUIR. In alternativa, il datore di lavoro può acquisire una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti il ricorrere, in capo al medesimo dichiarante, dei presupposti previsti dalla norma in esame, da conservare per eventuali controlli da parte degli organi a ciò deputati.

Interessi per mutui ipotecari per l’acquisto dell’abitazione principale (Rigo E7) “Definizione di abitazione principale”, è stato precisato che per abitazione principale del contribuente “si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente. A tal fine, rilevano le risultanze dei registri anagrafici o l’autocertificazione effettuata ai sensi dell’art. 47 del DPR n. 445 del 2000 registri anagrafici” e che la detrazione “spetta al contribuente acquirente e intestatario del contratto di mutuo, anche se l’immobile è adibito ad abitazione principale di un suo familiare (coniuge, parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado: art. 5, comma 5, del TUIR) (Circolare 26.01.2001 n. 7/E, risposta 2.2)”. In materia di detrazione per canoni di locazione, l’articolo 16, comma 1-quinquies, del TUIR prevede, infine, che l’abitazione principale è quella nella quale il titolare del contratto di locazione o i suoi familiari dimorano abitualmente.

  • Nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, e del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196;

Tanto analizzato, si evidenzia come l’Agenzia abbia chiarito che in relazione alla disposizione in commento valgano, laddove compatibili, le istruzioni già fornite con le circolari n. 35/E del 4 novembre 2022 e n. 23/E del 1° agosto 2023.

A tal proposito, pertanto, si ritiene utile precisare che al fine del beneficio in trattazione, in virtù dell’interpretazione della stessa Agenzia delle Entrate13 palesata in commento alla previgente normativa di cui al decreto legge n. 48/2023, la condizione a cui è subordinato il limite più elevato viene soddisfatta anche qualora il figlio sia a carico ripartito con l’altro genitore nonché qualora il lavoratore non benefici della detrazione fiscale per il figlio a carico in ragione del riconoscimento (in relazione al medesimo figlio) dell’Assegno Unico e Universale per i figli a carico.

Si ritiene, altresì, che tale misura transitoria, che rappresenta una forma di sostegno per i lavoratori dipendenti in un periodo storico caratterizzato da tensioni sui prezzi dei beni energetici e aumenti di quelli alimentari, possa essere erogata anche ad personam14.

Sul tema, peraltro, fermo restando che il limite pari a 2.000 euro si applica se il lavoratore dipendente dichiara al datore di lavoro di avervi diritto indicando il codice fiscale dei figli15,

  • importante rammentare che ai sensi dell’articolo 12, comma 2, del TUIR i figli sono considerati fiscalmente a carico se possiedano un reddito complessivo, computando anche le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, nonché quelle corrisposte dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente da essa e dagli enti centrali della Chiesa cattolica, non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili. Per i figli di età non superiore a ventiquattro anni il limite di reddito complessivo è elevato a 4.000 euro.

Nel caso in cui manchi la dichiarazione del lavoratore dipendente, pertanto, l’agevolazione in commento non è applicabile. Al riguardo, non essendo prevista per norma una forma specifica, si ritiene che la mera dichiarazione, con indicazione dei figli fiscalmente a carico, possa essere effettuata secondo modalità concordate fra datore di lavoro e lavoratore. In ogni caso è necessario conservare la documentazione, anche firmata digitalmente, comprovante l’avvenuta dichiarazione, ai fini di un eventuale controllo da parte degli organi competenti16.

  • Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 23/E del 1° agosto 2023;
  • Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 35 del novembre 2022 “Atteso che la norma richiama la disciplina dettata dal predetto comma 3 dell’articolo 51 del TUIR, e non anche quella dettata dal comma 2 del medesimo articolo, si ritiene che i fringe benefit in esame possano essere corrisposti dal datore di lavoro anche ad personam.”;
  • 1, comma 17, Legge n. 213/2023;
  • Circolare Agenzia delle Entrate n. 23/E del 1° agosto 2023;

Da ultimo, si evidenzia che i citati commi 16 e 17 in commento si pongono in deroga esclusivamente alla prima parte dell’articolo 51, comma 3, terzo periodo, del TUIR. Ne deriva, dunque, che permane il principio secondo cui, il superamento dei limiti indicati – vale a dire dell’importo di euro 1.000 o euro 2.000, a seconda se il lavoratore dipendente abbia o meno figli a carico – comporta la concorrenza dell’intero ammontare alla determinazione del reddito tassabile secondo le modalità ordinarie e non soltanto della quota parte eccedente detti limiti.

Cordiali Saluti,

Studio Salardi

di Lorenza Salardi – Consulente del Lavoro

Written by:
Studio Lorenza Salardi
Published on:
2 Maggio 2024

Archiviato in: Informative dello Studio

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