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STUDIO SALARDI DI LORENZA SALARDI

Studio di Consulenza del Lavoro

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INFORMATIVA: ULTIME NOVITA' IN MATERIA DI LAVORO.

 

INFORMATIVA: ULTIME NOVITA’ IN MATERIA DI LAVORO

STUDIO SALARDI

 

 

 INSERTI DEDICATI:

  

  • SPAZIO ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA PER LA DEFINIZIONE DELLE CAUSALI AI FINI DELL’ASSUNZIONE CON CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

  

  • SBLOCCO LICENZIAMENTI E RIATTIVAZIONE PROCEDURE DI CONCILIAZIONE

 

  • ACCESSO NELLE MENSE AZIENDALI TRAMITE GREEN PASS

 

 

  

 

 

 

 

 

SPAZIO ALLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA PER LA DEFINIZIONE DELLE CAUSALI AI FINI DELL’ASSUNZIONE CON CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO

 

Con la conversione del c.d. Decreto Sostegni bis sono state introdotte alcune disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, destinate ad agevolare il ricorso a tale tipologia contrattuale nell’ottica di una ripresa dell’occupazione dopo gli effetti della crisi economica aggravati dall’emergenza sanitaria da COVID-19.

 

In particolare, si conviene l’estensione, in via transitoria, della possibilità di apposizione di un termine al rapporto lavorativo di durata superiore ai 12 mesi e, comunque, non superiore ai 24 mesi, e di eventuale proroga o rinnovo. Infatti, a superamento della rigidità delle causali giustificative previste dal D.Lgs. n. 81/2015, viene concessa alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale o aziendale) la possibilità di individuare specifiche esigenze, proprie delle singole realtà produttive, per la stipula di contratti a tempo determinato.

CAUSALITÀ SECONDO I CONTRATTI COLLETTIVI

Ferma restando la non obbligatorietà dell’indicazione delle causali giustificative

  • nell’ipotesi di un primo contratto a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi,
  • in caso di proroga relativamente ai primi 12 mesi del contratto a termine,
  • in caso di conclusione di contratto a termine per attività stagionali ai sensi del DPR n. 1525/1963, nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettive e
  • di instaurazione di un rapporto a tempo determinato con un dirigente,

ai fini della stipula o in caso di proroga/rinnovo di un contratto a termine, pena la trasformazione in contratto a tempo indeterminato, è necessaria la sussistenza di almeno una delle condizioni previste dall’articolo 19, comma 1 del D.Lgs. n. 81/2015.

A riguardo si ricorda, infatti, che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato risulta subordinata alla presenza di:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

 

Le suddette causali introdotte dal c.d. Decreto Dignità si sono rivelate di difficile applicabilità, con conseguente riduzione dell’utilizzo dei rapporti a tempo determinato, cui si è cercato di porre rimedio con l’introduzione di una nuova causale contrattuale, aggiuntiva rispetto alle preesistenti causali legali, per cui i contratti collettivi (nazionali, territoriali, aziendali) possono individuare specifiche esigenze (non clausole generiche) per l’instaurazione di rapporti a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi, ma non eccedente i 24 mesi. Con la nuova disposizione viene stabilito che l’apposizione del termine per tali esigenze viene ammessa fino al 30 settembre 2022.

 

Quindi, alle organizzazioni sindacali viene riconosciuta la possibilità dell’individuazione di specifiche esigenze di settore o aziendali per giustificare il ricorso ai contratti a tempo determinato, nell’ambito della contrattazione collettiva, che ricomprende

  • i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e
  • i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

In presenza delle suddette esigenze, la nuova disposizione prevede che il regime derogatorio di apposizione del termine ha carattere temporaneo fino alla data del 30 settembre 2022, quindi ricomprende un arco temporale di circa 14 mesi.

È da intendersi che tale scadenza costituisca il termine ultimo per la stipula del contratto, la cui durata potrà protrarsi anche oltre tale data.

 

La data del 30 settembre 2022, invece, non ha alcuna incidenza sulla disciplina dei rinnovi o delle proroghe dei contratti a tempo determinato successive ai primi 12 mesi, in quanto viene fatto rinvio alle condizioni legali, nelle quali ora sono ricomprese anche le specifiche esigenze definite dai contratti collettivi, più rispondenti alle singole situazioni produttive.

 

Pertanto, dal dettato normativo si ritiene che alle causali giustificative richiamate in tema di proroga/rinnovo del contratto a termine, oltre a quelle legali già esistenti, vada aggiunta anche la nuova causale contrattuale, la cui efficacia temporale non è circoscritta ma va oltre il 30 settembre 2022.

 

 

SBLOCCO LICENZIAMENTI E RIATTIVAZIONE PROCEDURE DI CONCILIAZIONE

 

Con la Nota n. 5186 del 16 luglio 2021, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) è NOVITÀ    intervenuto per fornire una serie di chiarimenti in merito all’attuale disciplina del blocco dei licenziamenti e alla conseguente riattivazione delle procedure di conciliazione che erano state sospese in seguito dell’entrata in vigore delle disposizioni normative restrittive.

 

Difatti, in considerazione dell’articolato quadro normativo, la cui interpretazione è resa difficile dalla circostanza che le disposizioni oggi vigenti sono “sparse” in testi normativi differenti, l’INL, nel documento di prassi, ha ritenuto utile richiamare la vigente normativa in materia e predisporre un prospetto riepilogativo inteso ad orientare le procedure conciliative di sua competenza.

 

LE NORME VIGENTI SUL DIVIETO DI LICENZIAMENTO

 

Con riferimento all’attuale estensione del blocco dei licenziamenti, sulla base di un’interpretazione sistematica delle disposizioni degli ultimi decreti legge (DL n. 41/2021, DL n. 73/2021 e DL n. 99/2021), l’Ispettorato ha chiarito che in base al Decreto Sostegni bis,

 

NB a decorrere dal 1° luglio 2021, possono procedere con i licenziamenti individuali per
ragioni economiche e con i licenziamenti collettivi i soli datori di lavoro che possono fruire
  della Cassa integrazione ordinaria (CIGO): ossia le aziende individuate dall’art. 10 del
  D.Lgs n. 148 del 2015 e quindi le aziende appartenenti al settore industriale e manifatturiero.

 

Per tali aziende, la possibilità di licenziare rimane comunque inibita ai sensi degli artt. 40, commi 4 e 5, e 40 bis, commi 2 e 3, del DL n. 73 del 2021 laddove abbiano presentato domanda di fruizione degli strumenti di integrazione salariale ai sensi degli articoli 40, comma 3 e 40 bis, comma 1, per tutta la durata del trattamento e fino al 31 dicembre 2021.

La ratio di tali norme risiede, quindi, nella volontà di collegare il divieto di licenziamento alla domanda di integrazione salariale e dunque al periodo di trattamento autorizzato e non a quello effettivamente fruito.

 

Peraltro, proprio con riferimento ai settori che, sulla base della vigente normativa, rientrano nel c.d. sblocco dei licenziamenti, le Associazioni datoriali (Confindustria, Confapi e Alleanza cooperative) hanno condiviso con le Organizzazioni Sindacali (CGIL, CISL e UIL) al tavolo con il Governo, un “Avviso Comune” con il quale hanno in ogni caso raccomandato l’utilizzo degli ammortizzatori sociali previsti dalla normativa in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro.

 

Gli ulteriori interventi normativi di cui al DL n. 73 del 2021 e al DL n. 99 del 2021 hanno esteso, a determinate condizioni, il divieto di licenziamento oltre il 30 giugno u.s.

 

Ed in particolare:

 

  • per le aziende del tessile identificate secondo la classificazione Ateco2007, con i codici 13, 14 e 15 (confezioni di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e in pelliccia e delle fabbricazioni di articoli in pelle e simili), il divieto di licenziamento è stato esteso sino al 31 ottobre 2021 (cfr. art. 4, comma 2, DL n. 99 del 2021) in virtù della possibilità di accedere ad un ulteriore periodo di cassa integrazione di 17 settimane dal 1° luglio al 31 dicembre.

 

In tale caso, il divieto sussiste a prescindere dalla effettiva fruizione degli strumenti di integrazione salariale;

  • il comma 10 dell’art. 8, del DL n. 41 del 2021, relativamente alle imprese di cui ai commi 2 e 8 (ovvero a quelle aventi diritto all’assegno ordinario e alla cassa integrazione salariale in deroga di cui agli artt. 19, 21, 22 e 22 quater, DL n. 18 del 20, nonché a quelle destinatarie della cassa integrazione operai agricoli CISOA) ha precluso, fino al 31 ottobre 2021, la facoltà di procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e a licenziamenti collettivi, anche in questo caso a prescindere dalla fruizione o meno di ulteriori settimane di cassa integrazione.

 

 

Il termine più ampio del 31 ottobre è stato poi concesso alle imprese del turismo, stabilimenti balneari e commercio, sebbene l’art. 43 del DL n. 73 del 2021 abbia previsto un’eccezione: infatti, per i datori di lavoro operanti in tali settori, il divieto di licenziamento risulta esteso fino al 31 dicembre nell’ipotesi in cui decidano di richiedere l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, fruibile appunto entro tale data.

 

L’Ispettorato si è poi soffermato anche sulla possibilità, prevista dal comma 1 dell’articolo 40, di stipulare un contratto di solidarietà, in deroga al quale il legislatore non ha espressamente connesso la prosecuzione del divieto di licenziamento. Tuttavia, ricorda l’Ispettorato, deve essere considerata la finalità difensiva propria del contratto di solidarietà, volto ad evitare esuberi e licenziamenti del personale, che costituisce elemento essenziale degli accordi di cui all’articolo 21, comma 5, del D.Lgs n. 148 del 2015.

 

QUANDO È POSSIBILE LICENZIARE

 

Sebbene la Nota non lo specifichi, resta sempre possibile in base all’art. 40, comma 5 del Decreto Sostegni bis la facoltà di licenziare:

 

  • in caso di cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione (anche parziale) dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c.;

 

  • in caso di vigenza di un accordo collettivo aziendale stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale con il datore di lavoro che abbia ad oggetto l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
  • in caso di fallimento, quando non è previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa ovvero ne sia disposta la cessazione.

 

 

QUANDO È POSSIBILE RIATTIVARE LE PROCEDURE DI CONCILIAZIONE

 

Tanto premesso, direttamente collegata allo sblocco dei licenziamenti è la possibilità di riattivare le procedure di licenziamento e convocare le commissioni ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 604 del 1966.

 

Difatti, le imprese – escluse quelle appartenenti al settore del Tessile – che pur potendo fruire di nuove settimane di Cassa integrazione ordinaria, non ne facciano richiesta, possono effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, previa, ove prevista, attivazione della procedura ex art. 7 Legge n. 604 del 1966.

 

La procedura di conciliazione ex art. 7 Legge n. 604/1966

 

A tal proposito, va innanzitutto precisato che, a prescindere dalla normativa emergenziale, l’obbligo di attivare la procedura di conciliazione davanti all’Ispettorato opera solamente, per i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo, occupino alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli e, in ogni caso, per tutti i datori di lavoro che occupano più di 60 dipendenti su scala nazionale, che intendano licenziare un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015.

 

Da un punto di vista operativo, al fine di acquisire le informazioni utili all’istruttoria delle procedure di conciliazione riguardanti il settore di attività dell’impresa istante e l’eventuale presentazione di domande di integrazione salariale, l’Ispettorato ha predisposto uno specifico modello di istanza, reso disponibile sul sito dell’INL nella sezione “Modulistica”, da utilizzare sia per le nuove istanze di attivazione delle procedure di conciliazione, sia per le istanze già presentate all’epoca dell’entrata in vigore del Decreto Cura Italia e rimaste sospese ormai da oltre un anno.

L’opportunità di reiterare tali ultime istanze utilizzando la nuova modulistica è dovuta alla possibilità, prevista dal legislatore, di accedere a misure di integrazione salariale che allungano il periodo di divieto.

 

Nel modello di istanza fornito dall’Ispettorato è prevista: l’indicazione del settore aziendale con il codice Ateco, il numero dei dipendenti impiegati e la dichiarazione del datore di lavoro:

 

  • “di non avere presentato o di non essere in procinto di presentare domanda di cassa di integrazione ai sensi degli articoli 40 / 40 bis del D.L. n. 73/2021” e

 

  • “di avere esaurito le settimane integrabili di cui alla domanda di cassa integrazione presentata ai sensi degli articoli 40, comma 3, / 40 bis, comma 1, del D.L. n. 73/2021 in data…”.

 

Gli Ispettorati territoriali che riceveranno le relative istanze dovranno, quindi, convocare le riunioni di conciliazione nel rispetto dei termini di cui alla Circolare n. 3/2013 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ossia quelli perentori, previsti dalla normativa.

 

Nelle more della trattazione del tentativo di conciliazione gli uffici dovranno verificare, tramite la consultazione delle banche dati in uso, quanto dichiarato dalla parte istante circa la effettiva fruizione degli strumenti di integrazione salariale.

 

Qualora a seguito di tali verifiche dovessero emergere incongruenze tra quanto dichiarato nell’istanza e quanto risultante dalle banche dati, il verbale di archiviazione della procedura dovrà dare atto dell’impossibilità di dare seguito al tentativo di conciliazione a causa del sussistere di quelle condizioni per cui l’attuale normativa ancora prevede il c.d. “blocco dei licenziamenti”.

 

 

 

DOMANDE DI CASSA PRESENTATE DOPO LA CONCILIAZIONE

 

In chiusura, la Nota richiama l’attenzione sulla eventuale presentazione di domanda di cassa integrazione ai sensi degli articoli 40, comma 3, e 40 bis, comma 1, successivamente alla definizione delle procedure di conciliazione. Il verificarsi di tale condizione potrebbe infatti, essere valutato nell’ambito della programmazione delle attività di vigilanza connesse alla fruizione degli ammortizzatori sociali.

 

 

 

 

ACCESSO NELLE MENSE AZIENDALI TRAMITE GREEN PASS

 

Nell’ambito delle FAQ pubblicate sul sito del Governo (www.governo.it) relative alla certificazione verde COVID-19 – Green pass, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha fornito indicazioni rispetto all’accesso nelle mense aziendali previo controllo dello stesso Green pass.

 

In particolare, viene precisato che per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale, o nei locai adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di green pass.

 

A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal DPCM del 17 giugno 2021.

 

A seguito di tale indicazione la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), in data 16 agosto 2021, ha provveduto ad aggiornare le FAQ concernenti l’utilizzo ed il controllo di Green pass, come di seguito riportato.

 

Effettuo il servizio di mensa per dipendenti pubblici e privati, anche in questo caso devo verificare il possesso di un green pass valido affinché i lavoratori possano consumare al tavolo all’interno?

Sì, in quanto la novella dell’art. 9 bis, comma 1, del D.L. n. 52, convertito in Legge 17 giugno 2021 n. 87 (“Riaperture”) – introdotto dall’art. 3 del D.L. n. 105/2021 – stabilisce che il consumo al tavolo al chiuso presso i servizi di ristorazione “svolti da qualsiasi esercizio” sia consentito esclusivamente nei confronti di soggetti muniti di una delle certificazioni verdi, dunque, il tenore letterale della norma è volto ad includere anche il servizio mensa e il catering su base contrattuale. Questa interpretazione è stata recentemente confermata anche nelle FAQ del Governo.

 

 

Sono stato delegato alla verifica del green pass, è necessaria un’attestazione?

Secondo l’art. 13, comma 3, del DPCM del 17 giugno u.s., alcuni dei soggetti deputati alla verifica (tra cui i titolari dei pubblici esercizi per l’accesso ai quali è prescritto il possesso di una delle certificazioni verdi COVID 19, ovvero il proprietario o il legittimo detentore di luoghi o locali presso i quali si svolgono eventi e attività per le quali è prescritto il possesso di una delle certificazioni verdi COVID19) possono delegare tale attività purché l’incarico sia conferito con atto formale – dunque, necessariamente con atto scritto – nel quale devono essere indicate le istruzioni per eseguire l’attività di verifica. Può contattare la Fipe – Confcommercio di cui è socio per ricevere un modello di delega.

 

Quando verifico il possesso di una delle certificazioni verdi, sono obbligato a chiedere al cliente anche il documento di riconoscimento?

Sul punto si è espresso il Ministero dell’Interno che, con circolare del 10 agosto 2021, ha stabilito che il controllo sul documento di riconoscimento di cui all’art. 13, comma 4 del DPCM del 17 giugno u.s., deve essere inteso come attività di accertamento avente natura discrezionale; tuttavia si renderà necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme, vale a dire, a titolo esemplificativo, nel caso in cui sia manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione. È bene ricordare che tale accertamento dovrà essere svolto in modo da garantire la riservatezza del singolo nei confronti di terzi e che, in caso di richiesta da parte del verificatore, l’avventore è tenuto a esibire il documento di riconoscimento anche se il soggetto deputato al controllo non è un pubblico ufficiale.

 

Tra l’altro, nella circolare del Viminale è stato chiarito che qualora, a seguito di un controllo da parte delle forze di polizia o del personale di polizia municipale, dovesse emergere la mancata corrispondenza tra il possessore della certificazione verde e l’intestatario della stessa, la sanzione di cui all’art. 13 del “Riaperture”, laddove non siano riscontrabili palesi responsabilità a carico dell’esercente, risulterà applicabile esclusivamente nei confronti dell’avventore.

 

 

 

 

 

Cordiali Saluti,

Studio Salardi

di Lorenza Salardi – Consulente del Lavoro

 

Written by:
Studio Lorenza Salardi
Published on:
2 Settembre 2021

Archiviato in: Informative dello Studio

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