BUSTE PAGA PRIMA E DOPO
L’ASSEGNO UNICO E UNIVERSALE
PREMESSA
L’assegno Unico e Universale, strumento istituito e regolamentato dal D.Lgs. n. 230/2021, in attuazione della Legge delega n. 46 del 1° aprile 2021, ha finalmente fatto il suo debutto, sostituendo e unificando le misure di sostegno economico per le famiglie. L’importo dell’Assegno, erogato a partire da marzo dall’Inps previa richiesta tramite un’apposita applicazione disponibile sul portale dell’Istituto o rivolgendosi agli enti di patronato, è modulato sulla base della condizione economico/patrimoniale del nucleo familiare, individuata attraverso l’Isee, tenendo conto dell’età dei figli a carico e dei possibili effetti di disincentivo al lavoro per il secondo percettore di reddito nel medesimo nucleo. Nell’ammontare dell’Assegno si tiene conto, inoltre, di situazioni particolari come nuclei familiari con più di due figli o con figli disabili o costituiti da madri con meno di 21 anni, per le quali sono previste maggiorazioni.
- GLI EFFETTI IN BUSTA PAGA
Ora che lo stipendio di marzo e il bonifico dell’Assegno Unico Universale, effettuato direttamente dall’Inps sul conto corrente del richiedente, sono stati accreditati, si possono trarre le prime conclusioni su questa misura, che di certo non soddisfa pienamente le aspettative. La riforma, attuata con l’introduzione di un istituto unico e universale, il cui scopo, a detta del Legislatore, era quello di contrastare la denatalità e contestualmente favorire la conciliazione fra i tempi di vita e di lavoro, in particolare quelli femminili, ha in realtà soltanto riordinato i sussidi esistenti. Questa fase di prima applicazione dell’Assegno sta, infatti, generando confusione, false aspettative e delusione in capo a molti di quei nuclei familiari che avrebbero dovuto essere i principali beneficiari della nuova misura.
Senza dimenticare le difficoltà, in sede di confronto tra passato e presente, derivanti dal dovere considerare importi provenienti da diversi soggetti, spesso con accrediti sfasati temporalmente. Gli esempi che seguono evidenziano, in 5 casi concreti, le criticità riscontrate nell’applicazione dell’Assegno e le differenze in busta paga prima e dopo la misura.
Caso 1: Genitori coniugati, lavoratore dipendente, moglie a carico, 2 figli minori di 3 anni
Operaio del settore metalmeccanico, coniugato con moglie a carico e 2 figli minori di 3 anni, il cui Isee è pari ad € 6.400,00 ha percepito con riferimento al mese di marzo un AUU di € 350,00, in luogo di un ANF di € 199,83 e detrazioni per figli a carico di € 125,00. Differenza apparentemente positiva quindi. Bisogna tener presente, però, che a luglio 2021, vista l’impossibilità di rendere da subito operativo l’AUU, era stata introdotta la misura temporanea, ovvero la maggiorazione ANF (art. 5, D.L. n. 79/2021) pari ad € 37,50 per ogni figlio. Considerando anche tale importo, il sig. Rossi avrebbe una perdita mensile di quasi 50,00 euro.
Caso 2: Convivente con 1 figlio maggiore di 3 anni
Convivente con una figlia minorenne maggiore di 3 anni e con un Isee di € 11.537,00, ha percepito un AUU di € 205,00 in luogo di un ANF di € 91,78 e detrazioni per figlia a carico di € 61,58. In questo caso, sommando anche la maggiorazione ANF (art.5) pari ad € 37,50 si riscontra un piccolo guadagno.
Caso 3: Genitori coniugati, lavoratore dipendente, moglie a carico, 3 figli maggiori di 3 anni, 1 figlio minore di 3 anni
Coniugato con moglie a carico e 4 figli minorenni, di cui uno minore di 3 anni, e con Isee pari ad € 24.900, ha percepito a marzo con AUU di € 716,60 in luogo di un ANF di € 432,72 e detrazioni per figli a carico di € 298,45 e per famiglie numerose di € 100,00. Va da sé che, se sommiamo la maggiorazione temporanea, il gap negativo è di € 264,57 ovvero circa un 26% in meno.
Caso 4: Madre separata con 2 figli maggiori di 3 anni
Separata con due figlie minorenni maggiori di 3 anni e Isee pari ad € 15.298,00, ha percepito un AUU di € 410,00. Anche in questo caso si tratta di un importo ben lontano dalla somma dei precedenti ANF di € 357,72, detrazioni figli di € 134,12 e maggiorazione temporanea pari a 75,00 euro.
Caso 5: Genitori coniugati, lavoratore dipendente, moglie a carico, 2 figli maggiori di 3 anni
Dirigente coniugato con moglie a carico e 2 figli minorenni maggiori di 3 anni, con un reddito pari a € 98.258,00 non percepiva ANF ma solo detrazioni per figli a carico, pari a € 16,91 mensili. Oggi, in assenza di presentazione Isee o con Isee superiore a € 40.000,00, beneficerà di 100,00 euro al mese. Ben 89,09 euro in più ogni mese.
- CONCLUSIONI
Come più volte ribadito la determinazione dell’Isee familiare tiene conto, non solo della situazione reddituale che, sino ad oggi, ha caratterizzato tutte le forme di sostegno alla famiglia, ma anche della situazione patrimoniale (abitazioni, autovetture, giacenze medie dei conti correnti, assicurazioni ecc.,) che non necessariamente fotografa la ricchezza di un nucleo familiare.
L’Isee, infatti, anche in assenza di patrimoni elevati, di introiti ingenti da rendite o beni di lusso, almeno in fase di prima applicazione non è in grado di sostituire/integrare correttamente i “vecchi” sussidi a favore delle famiglie. In conclusione, gli unici a trarre benefici dalla nuova misura sembrano essere i nuclei in possesso di un Isee particolarmente basso (sotto la media) o le famiglie che, avendo redditi e Isee significativamente alti, in passato non hanno mai beneficiato di ANF. Il tutto è in parallelo con la riforma fiscale che, introdotta a gennaio 2022, ha modificato scaglioni, aliquote e valore della detrazione da lavoro dipendente e ha eliminato il trattamento integrativo previsto dal D.L. n. 21/2020 per i redditi superiori a 15.000,00 euro (salvo casi ben definiti).
Ci si chiede, quindi, se sia stato veramente opportuno eliminare misure che per anni hanno caratterizzato, su parametri di natura reddituale, i sussidi alle famiglie, sostituendole con un meccanismo complesso, difficile da comprendere, basato su informazioni che non sono in grado di misurare correttamente la ricchezza reale dei nuclei familiari con figli a carico.
Una riforma organica della tassazione, e soprattutto dei correttivi legati alle situazioni personali e familiari, non può essere costruita a tavolino ignorando completamente le esigenze di semplicità e trasparenze. I correttivi che purtroppo arriveranno, senza modificare l’impianto di base, sotto forma di “clausole di salvaguardia” o “detrazioni aggiuntive”, non faranno altro che peggiorare ulteriormente la situazione, rendendo il meccanismo di calcolo farraginoso ed incomprensibile, obbligando il datore di lavoro e i Consulenti del Lavoro a nuovi sforzi per mantenere in vita, per ovvie ragioni di confronto, criteri di calcolo completamente diversi tra loro.
Quelli analizzati in questo approfondimento sono solo cinque casi concreti della moltitudine di lavoratori che in questi giorni sta facendo i conti per capire quanto effettivamente sta percependo per il mese di marzo, cinque casi che comunque fanno porre l’interrogativo: cui prodest questa riforma? La netta sensazione è che vada a vantaggio delle fasce più alte di reddito. E su questo tema va sottolineato un vero e proprio paradosso. Se lo scopo era di non lasciare nessuno senza copertura, dando ampia tutela anche nel caso di assenza di modello Isee, lo stesso si può dire centrato particolarmente per i redditi altissimi, infatti, in base a queste regole anche chi si trova in questa agevolata condizione reddituale percepisce la misura minima di 50 euro al mese, cosa che ovviamente con le vecchie regole non sarebbe avvenuta. Di positivo c’è che per la prima volta percepiscono assegno per figli minorenni i lavoratori autonomi, che ovviamente ne abbiano i requisiti Isee. E questo è un ottimo segnale di attenzione, forse il primo, per i lavoratori indipendenti che stanno pagando a carissimo prezzo la doppia criticità di pandemia e aumenti incontrollati di energia e materie prime.
Insomma, una riforma tra luci e ombre, che deve ancora dimostrare tutto il suo potenziale sostegno alla genitorialità. Una riforma che in corso d’opera necessita di correttivi, necessari per evitare di penalizzare qualcuno. Correttivi che tengano in maggiore considerazione la conformazione delle famiglie italiane, per le quali l’abitazione di proprietà e i piccoli risparmi non sono sintomo di lusso e di ricchezza, ma solo di grandi sacrifici personali. Senza dimenticare che l’annunciata riforma del Catasto comporterà l’aumento dei valori degli immobili e (conseguentemente) dell’Isee, con altre amare sorprese sulla quantificazione dell’assegno per i figli.
Cordiali Saluti,
Studio Salardi
di Lorenza Salardi – Consulente del Lavoro